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Era mio nonno… Un filo ricomposto in modo sorprendente 100 anni dopo, tra Pittsburgh e un paesino del centro Italia. Una storia italiana Lettura 2’​

Era mio nonno… Un filo ricomposto in modo sorprendente 100 anni dopo, tra Pittsburgh e un paesino del centro Italia. Una storia italiana Lettura 2’​

Rino Panetti

Gennaio 23rd, 2019

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Ho pubblicato questo articolo esattamente 10 anni fa. Oggi acquista forse significati ulteriori. Buona lettura

Ci sono storie che hanno in sé qualcosa di magico. Questa è una di quelle. Ascoltate.

Non immaginavo che sarebbe stato così facile, quel 24 gennaio 2009, trovare ciò che stavo cercando. Ma non immaginavo neanche quanto sarebbe stato emozionante e commovente.
Aveva solo 16 anni, mio nonno, quel 2 agosto 1913, quando arrivò negli Stati Uniti. Come altri 12 milioni di emigranti che vi giunsero tra il 1892 ed il 1954, sbarcò ad Ellis Island: prima tappa, obbligata, per chiunque giungesse laggiù a trovar fortuna; gli occhi fissi sulla Statua della Libertà, totem di sogni e libertà.
Ci restò 10 anni. Tornandoci due volte.
Non sapevo molto di più. Istantanee nei ricordi di mio padre: il viaggio durò 18 giorni, viveva in un città molto fredda tra New York e Canada, lavorava in ferrovia, rischiò di morire di influenza, rischiò di sparire ad opera della “mano nera”; lui ed il suo amico inseparabile, partiti a 16 anni da un minuscolo paese  del reatino verso il più grande dei Paesi.
Gli americani”: così li chiamavano a Concerviano, il loro paese. E sapevo anche un’altra cosa; me la raccontò mio nonno quando mi vide, ancora piccolo, provare i miei primi numeri di magia: “in America vidi un mago liberarsi, legato e appeso a testa in giù sulla cima di un palazzo. Si chiamava Houdini”. Mio nonno vide Houdini!
Circa 70 anni dopo, 1994, in occasione di una riunione del Club Magico Italiano mi trovavo di fronte a David Copperfield e la sera assistei al  suo “volo”. Fili rossi: i miei occhi e quelli di mio nonno hanno visto in azione coloro che possono essere considerati i due più grandi illusionisti del XX secolo!

E così, lo scorso 24 gennaio mi son messo ‘a caccia’ di mio nonno, delle sue tracce negli Stati Uniti.
La chiave d’accesso era proprio Ellis Island: esiste un archivio informatico di tutti gli arrivi in questa porta sul nuovo mondo. Pochi click su internet ed ora, 22 febbraio, sto scrivendo queste righe avendo in mano, speditimi dalla Fondazione Ellis Island: la copia delle pagine dei verbali in cui sono registrati i suoi due arrivi (c’è il nome, il paese di provenienza, il nome dei genitori, il luogo di destinazione e tanto altro), la foto delle due navi con cui è giunto (la Philadelphia e la Giuseppe Verdi), la fotocopia delle carte di imbarco. E’ semplicemente da brividi. Ed è uno spaccato della storia d’Italia, da non dimenticare.

Pensiamoci: è il 1913: il capo indiano Geronimo era morto da appena 4 anni; solo un anno prima c’era stata la tragedia del Titanic. Erano quei tempi! Ed un ragazzo di Concerviano di 16 anni (che già da tre anni era in Svizzera!) raggiunge l’Inghilterra, da lì si imbarca e dopo 18 giorni di navigazione arriva negli Stati Uniti.
La città fredda in cui visse era Pittsburgh; il suo secondo arrivo fu nel 1921, 19 maggio: e qui già risultava residente a Pittsburgh, 234 Liberty St. Vedendo quei registri si scopre che al primo arrivo dichiarò 18 anni anziché 16 (comprensibile!) ed il nome fu trascritto come “Guiseppe”, anziché “Giuseppe”. Nel secondo arrivo rimise le cose a posto.
Arrivò negli Stati Uniti avendo già un lavoro ed una destinazione assegnati: forse in Italia dovremmo imparare da questo, ora che anche noi stiamo diventando un Paese di immigrazione. Quel registro è pieno di informazioni su mio nonno, che giungeva da un posto così distante: altra lezione.
E penso anche a quelle maestrine che decidono di togliere i crocefissi o i presepi dalle scuole per dimostrare la loro capacità di accoglienza: maquillage e non sostanza; quelle maestrine – tutta teoria e convinzioni – forse dovrebbero parlare un po’ con questi testimoni della nostra storia. Quelle maestrine si sarebbero opposte duramente anche al giuramento di Obama sulla Bibbia: “allora deve giurare anche sul Corano” e chissà dove altro, avrebbero detto!

Mi capita, talvolta, di pensare a quest’uomo che, dopo 10 anni negli Stati Uniti, torna a vivere nel suo paesino  il resto dei suoi giorni: cosa può voler dire tornare dal centro del mondo al microcosmo di un borgo italiano della fine degli anni ’20 del secolo scorso?: quante volte i suoi ricordi lo avranno riportato verso quei posti, su quelle navi; quante volte si sarà detto, nel silenzio, “e se…”; quante volte avrà ricercato, sui giornali e sulle riviste che amava leggere, immagini, segnali, notizie, nomi di quei posti che lasciò; quante volte seduto su un muretto, vicino ad un camino, nel bel mezzo del chiacchiericcio della piazzetta del paese, davanti ad un bicchiere di vino, tenendo la cavezza del suo somarello carico delle bigonce d’uva o rialzando la schiena piegata sulla terra (quella terra che fu l’investimento dei guadagni americani) avrà ricercato nella memoria volti, frasi, luoghi; cosa vedeva in quel soldato americano cui diede rifugio durante la seconda guerra mondiale e quale debito di riconoscenza e ospitalità si sentiva in quel momento di saldare e, soprattutto, verso chi; cosa provava man mano che vedeva l’Italia del dopoguerra assomigliare sempre più a quel mondo che lui aveva già visto 30-40 anni prima, in una sorta di ritorno dal futuro; quante infinite volte con il suo grande amico si saranno compresi con un semplice sguardo, lo sguardo di chi ha imparato a condividere ogni istante, ogni pensiero in un Paese così lontano (in ogni senso).
Quando ero piccolo li vedevo giocare a carte, loro due – coppia fissa – nel piccolo bar di Concerviano. Giocavano a tressette senza dire una parola, neanche una. Avrebbero potuto parlarsi in inglese, e invece non parlavano proprio: era l’intesa unica di chi ha condiviso l’inimmaginabile. Ed il suo amico, quando già erano vecchi, disse una volta a mio padre: “con tuo padre ci conosciamo da una vita. Bene, non ci siamo mai detti, neanche una volta, vaf”. Lezioni di vita.
Il suo amico si chiamava Ettore Buzzi. C’era anche Orlando Ricetti. Lui, Giuseppe Panetti, era mio nonno.
Loro erano gli americani.

PS: nonno, quest’anno Pittsburgh ha vinto il Superbowl di Football americano: sapendolo avresti sicuramente avuto un tuffo al cuore. Quest’anno ho tifato Pittsburgh per te.

Rino Panetti. Rieti, Italia. febbraio 2009
Nell’ultima foto, mio nonno è al centro, sullo sfondo, tra me e mio padre. Oggi, 23 gennaio 2019 sono rimasto solo io. Un giorno andrò anch’io a Pittsburgh, e ci porterò mio figlio. Insieme percorreremo quelle strade, alla ricerca di connessioni…  [Rino Panetti. Rieti, Italia. 23 gennaio 2019]

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